EXODUS E NUOVE SPERANZE: IL CASO ITALIANO. I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI E TRATTI PSICOLOGICI.
IL FATTO
Giovanni Siena – Psicologo
Negli ultimi dieci anni l’Italia è stata protagonista e vittima allo stesso tempo del fenomeno “immigrazione“. Inizialmente, il flusso migratorio in Italia viene regolato da un tacito consenso socio-politico: il lavoratore straniero prestava servizi quasi gratuitamente e senza ripercussioni sindacali. Di fatti, è proprio in regioni come la Puglia, la Sicilia e la Campania che masse di lavoratori extracomunitari trovano “aiuti” per lavori quasi esclusivamente agricoli. A questo punto, l’Italia oltre a far fronte a nuove forme di tratta degli schiavi, come ad esempio il fenomeno del “caporalato“, doveva rendere conto di una nuova emergenza sociale mai tenuta in considerazione: i figli degli immigrati. Come sosteneva l’antropologo Emerson in seguito a ciò che è accaduto circa 40 anni fa in Francia: “Si aspettavano delle braccia e poi sono arrivate persone“. A parte il problema dell’integrazione minorile, un ulteriore disagio è stato creato dal cambiamento di flussi migratori che vedevano famiglie monoparentali, tendenzialmente madri con bambini a carico e minori non accompagnati. In questo senso, in Italia si notano le spaventose lacune legislative sia per quanto riguarda centri di prima e seconda accoglienza, sia per politiche di integrazione, nonché la costruzione di strutture di affidamento di minori capaci almeno di riconoscere legalmente il migrante e tentare di risolvere il problema dell’integrazione lavorativa e sociale. I rischi di tali lacune potrebbero comportare un pericoloso vagabondaggio dei minori spesso soggetti a violenze, sfruttamento e abusi. A tal proposito, risulta fondamentale la fase di prima accoglienza nei suoi momenti di identificazione e presa in carico garantendo i diritti fondamentali. Per questi motivi, nel 2008 si è costituito un gruppo tecnico di lavoro presso il Ministero del Lavoro della Salute e delle Politiche Sociali, che ha evidenziato la necessità di un protocollo da utilizzare su tutto il territorio nazionale, soprattutto nei casi in cui si rende necessario ricorrere a procedure medico-scientifiche per l’accertamento dell’età del minore non accompagnato.
Di qui, la necessità di garantire centri e comunità che offrano effettive e adeguate opportunità di accoglienza in linea con gli standard minimi derivanti dalle norme di diritto nazionale e internazionale in materia di infanzia e di adolescenza. Tali standard dovrebbero garantire a ciascun minore non accompagnato l’accoglienza in un luogo sicuro, l’accesso ai beni essenziali e ai servizi socio-sanitari, assistenza legale, accesso all’istruzione, formazione professionale lavorativa, opportuna campagna di informazione sul proprio status, protezione da ogni forma di abbandono, abuso, sfruttamento, espletamento tempestivo delle procedure per la regolazione del minore.
La normativa italiana prevede che i minori in stato di abbandono non possano essere soggetti a espulsione né a misure di trattenimento presso i centri per gli immigrati, e qui l’obbligo di pubblici ufficiali e incaricati del servizio pubblico di informare il minore intercettato sul territorio circa la facoltà di chiedere asilo assicurando la possibilità di essere inserito nei relativi centri. Pertanto , ci si scontra e ci si confronta con punti critici nell’attuale piano di integrazione e assistenza per minori in stato di abbandono, ovvero molto spesso i minori ritrovati sul territorio italiano sono sprovvisti di documenti idonei di identificazione. Al momento in Italia non esistono procedure omogenee e standardizzate per accertare l’età del minore migrante, né disposizioni precise atte a garantire il rispetto dei diritti dei minori, prima, durante e dopo l’accertamento. A tal proposito, di recente si stanno attivando interventi promossi da alcune istituzioni e associazioni finalizzate a garantire l’adozione di tali procedure. Meritevole di attenzione risulta a tal fine il progetto “PRAESIDIUM“, che vede la partecipazione in prima linea di Save The Children, progetto nato nel 2006 per fronteggiare la dura esperienza del Centro di soccorso di prima accoglienza (CSPA) di Lampedusa, luogo prioritario di sbarchi clandestini. Save The Children, insieme alle altre organizzazioni impegnate nella realizzazione del progetto PRAESIDIUM, delineano i principi generali e le procedure generalmente applicabili nel processo di identificazione dei minori migranti. Tali principi e procedure derivano da standard internazionali ed nazionali, in primis la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. L’obiettivo è quello di fornire una guida chiara e sintetica a tutti gli operatori impegnati nell’identificazione dei minori migranti, al fine di garantire il consolidamento delle capacità di accoglienza dei minori, nel rispetto dei loro diritti. Tale progetto ha avuto larga eco in tutte le regioni maggiormente interessate dal fenomeno immigrazione, ivi compresa la Regione Marche. Qui, infatti ci si scontra con una realtà differente rispetto alle altre regioni italiane, ovvero l’arrivo di minori via mare attraverso le navi di linea in arrivo dalla Grecia quale mezzo di trasporto in cui potersi nascondere per giungere sulle coste italiane. Non siamo dunque di fronte ai cosiddetti “sbarchi” mediante gommoni o pescherecci, ma all’arrivo in un porto commerciale di traghetti di linea che trasportano persone e merci, all’interno dei quali si trovano nascosti i migranti, sia in gruppo che singolarmente. Dai dati relativi ai minori collocati in pronta accoglienza nelle comunità delle Marche, è inoltre possibile affermare che, rispetto all’anno scorso, è aumentata la percentuale di arrivi sul territorio regionale (anche arrivati attraversando frontiere diverse da quella marittima di Ancona) di bengalesi, albanesi, nigeriani, pakistani, turchi e iracheni, mentre diminuisce quella dei senegalesi. Ma prestando attenzione ai recenti fatti di cronaca che stanno investendo l’area del Nord Africa, si delinea un quadro allarmante: la previsione di crescita esponenziale dei dati statistici relativi agli ingressi clandestini che interesseranno l’intero territorio nazionale. Le stime parlano chiaro: si attendono circa 4.000 arrivi tra donne, uomini e bambini, molti dei quali non saranno “accompagnati“.
CONOSCENZA E SUPPORTO
Uno degli aspetti da considerare in chiave dinamica durante il supporto psicologico ai MSNA è la risposta che gli stessi mettono in atto in maniera soggettiva, caratterizzata dalla resistenza culturale, l’assimilazione, la marginalità e la doppia etnicità come di seguito citati:
La resistenza culturale: Il termine resistenza sottolinea l’atteggiamento assunto dallo straniero nei confronti della società d’arrivo e il suo tentativo di fare riferimento, prevalentemente o esclusivamente, alla cultura e all’identità etnica originaria, fatto che determina una forte propensione alla formazione di sottogruppi nei quali i momenti di scambio e confronto con l’esterno si riducono all’indispensabile. Il rischio di tale soluzione è evidente: se non viene adeguatamente affrontata e gestita finisce per far sentire il minore sempre e comunque straniero nel paese d’arrivo
L’assimilazione: il minore straniero in questo caso aderisce pienamente alla proposta identitaria della società d’arrivo e rifiuta, o meglio rinnega, la propria cultura d’origine. i vantaggi sono costituiti dalla volontà di apprendimento e adattamento al paese d’accoglienza, ma si crea una situazione per molti versi paradossale: da una parte, il modello culturale dominante nel paese d’immigrazione è realmente percepito dal minore come quello vincente, e questo è quello che gli viene proposto nella sua esperienza quotidiana (scuola, televisione, etc.); dall’altra, sono praticamente svanite, o non sono mai state realizzate, le procedure per una vera assimilazione. Ne consegue una discordanza tra le aspettative del minore straniero e la disponibilità della società d’arrivo.
La marginalità: E’ presentata come la condizione più frequente tra i ragazzi stranieri. L’identità di questi ragazzi risulta confusa, essi vivono ai margini, sia della cultura d’origine, sia di quella di arrivo, incapaci di proporre una reale proposta identitaria alternativa. non sentono di appartenere ad alcuna delle due culture, collocandosi passivamente in entrambe, incapaci di scegliere tra l’affetto familiare e il fascino dell’emancipazione.
La doppia identità: in genere si tratta di un lento, ma profondo lavoro, in cui l’identità viene formata dal continuo confronto tra i due mondi, la famiglia e la società d’arrivo, confronto che non comporta soluzioni definitive o estremiste, ma un processo di selezione e adeguamento. In tal modo il minore riesce ad avere un’identità formata all’armonizzazione e integrazione dei valori delle due differenti culture, e soprattutto viene sviluppato un senso di duplice appartenenza. In genere, la doppia etnicità è considerata la soluzione migliore, proprio perché permette al minore un maggiore equilibrio, nonché una maggiore capacità critica, maggiore obiettività e sensibilità. Si tratta comunque di un equilibrio assai articolato che può essere realizzato soltanto se la società stessa ha sviluppato un’organizzazione multiculturale (o per lo meno bi-culturale) superando quel razzismo istituzionale assai difficile da sradicare. pare ormai chiaro che per la buona riuscita dell’integrazione e del conseguente benessere del minore sia necessario considerarlo come soggetto attivo nelle relazioni, dunque porsi in una ben precisa prospettiva teorica e pratica. Per il benessere dello stesso devono pertanto essere garantite non solo la sicurezza e la stabilità del contesto, ma anche la tutela e il rispetto della soggettività, riconoscendola e promuovendo atti a proteggerla e permetterle il pieno sviluppo, passando attraverso supporti multidisciplinari e linee guida chiare che completano i progetti di supporto e integrazione, nelle strutture residenziali di accoglienza.
(Fonti bibliografiche: Save The Children: “dossier” e “rapporto monitoraggio” MSNA via mare, Istituto di ricerca Degli Innocenti affari sociali, Rapporto 1997 sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, Firenze 1997, intitolato emblematicamente “Un volto o una maschera” I percorsi di costruzione dell’identità)